Postiglione (SA)

     Sorge alle pendici del massiccio degli Alburni ad una quota di 645 m s.l.m. sul versante rivolto alla costa tirrenica, posizione da cui beneficia di un favoloso panorama che permette di intravedere, in assenza di foschie, Paestum, la penisola sorrentina e addirittura l’isola di Capri. Pare che il nome del paese derivi da un certo Pistilius, fondatore del Praedium Pistillorus, ma a tal proposito non ci sono testimonianze certe. Altra è la leggenda secondo cui Postiglione sarebbe nato in seguito allo spostamento degli abitanti di Paestum che lì si rifugiarono per sfuggire alle incursioni dei Saraceni. La prima parte del nome deriverebbe, quindi, appunto da Paestum, mentre l’ultima si rifarebbe alle qualità proprie del luogo, tradotte dal greco: ossia ventoso e soleggiato. I ruderi di insediamenti romani, in località Vignali e Zancuso, e la presenza dell’antico tracciato della via Popilia che aveva, proprio a Postiglione, diverse mansio e stazioni, sono il segno della sua fervida attività, già in epoca romana e lucana. La presenza di un castello normanno dell'XI secolo è invece testimonianza inconfutabile dell'origine feudale del paese, che tale è rimasto durante tutto il Medioevo. Il suo primo feudatario fu Guglielmo di Postiglione, a cui succedettero i Sanseverino prima, ed e i Rizzo poi.

     Quando Carlo V del Sacro Romano Impero tolse i feudi a questa famiglia napoletana, le terre passarono al Conte Morone, per poi ritornare ai proprietari precedenti. L’azienda signorile creata dai principi Caracciolo nei demani di Postiglione entrò nella sfera del grande commercio campano riuscendo ad esportare il surplus agricolo prodotto nelle città del Principato Citra o addirittura a Napoli. L’intero feudo di Postglione, insieme a quello di Controne, verrà poi permutato dai Borbone nel 1759. Il suo territorio feudale e la dimensione delle difese baronali venne ampliata con continue usurpazioni a danno del demanio dell’Università, soprattutto durante la cosiddetta rifeudalizzazione del Seicento. 

     Durante questo periodo vi furono conflitti latenti fra popolazione e baronaggio locale che esplosero periodicamente, ma con particolare violenza nel 1799 e poi nel decennio francese. Solo con l’abolizione della feudalità il comune riuscì a rientrare in possesso dei demani usurpati, secoli prima, dai Caracciolo. 

     Il comune partecipò attivamente ai moti carbonari del 1820/21, come testimoniato anche dall’esistenza dei “Filantropi sull’Alburno”: setta carbonara guidata da Domenico Caputo. Essendo Postiglione capoluogo del Circondario (Controne, Petina, Postiglione, Sicignano, Serre) appartenente al Distretto di Campagna del Regno delle due Sicilie, il fermento antireazionario lì fu più intenso, tale che lo stesso Caputo si recò nei vari paesi limitrofi per diffondere informazioni e stabilire contatti. L’allora sindaco Francesco Antonio Rossi, che offrirà festeggiamenti solenni ai decurioni tornati, verrà accusato di essere stato oratore della setta carbonara istituitasi a Postiglione e di aver proposto la distruzione del bosco di Persano, in quanto simbolo della presenza dei Borboni in Campania (di fatto Persano era la dimora venatoria del re Carlo III di Borbone).


      Anni dopo, la popolazione manifesterà lo stesso fervore e la stessa partecipazione anche nelle rivolte guidate dal brigantaggio; le gesta eroiche di alcuni postiglionesi, ancora adesso, sono annoverate tra quelle dei briganti degli Alburni.

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